Posted Mar 2022
La disciplina in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta contempla una tutela accentuata dell’acquirente quando questo assume la qualità di consumatore e il bene oggetto di scambio è classificabile come bene di consumo. La normativa di riferimento è il D.Lgs. 206/2005 (in seguito: Codice del consumo), in particolare, la Parte IV (Sicurezza e qualità), Titolo III (Garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo), Capo I (Della vendita di beni di consumo), artt. 128 ss. Nella disciplina in commento sono confluite le disposizioni degli articoli dal 1519 bis al 1519 nonies del Codice civile, dedicate alla vendita di beni di consumo, inserite dal D.Lgs. n. 24/2002 e successivamente abrogate dall’art. 146 del Codice del consumo.
La normativa in esame presenta importanti tratti distintivi rispetto alla disciplina del Codice civile in materia di tutela del compratore per vizi e mancanza di qualità della cosa venduta (sulla quale si rinvia al relativo articolo) sia per quanto riguarda la nozione di vizio del prodotto sia, soprattutto, con riferimento ai rimedi a disposizione del compratore. La disciplina codicistica, inoltre, è sussidiaria rispetto a quella consumeristica, poiché l’art. 135, comma 2, del Codice del consumo, norma di chiusura, prevede che per tutto quanto non previsto dal predetto capo, si applicano le norme del Codice civile, in quanto compatibili.
La peculiarità della tutela del consumatore in relazione alla vendita di un prodotto poggia su un elemento soggettivo e su due elementi oggettivi. L’elemento soggettivo è costituito dalla qualità del compratore, il consumatore o utente, appunto, definito nell’art. 3, lett. a, del Codice del consumo come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.
L’esigenza di tutelare il consumatore con una disciplina specifica deriva dalla posizione di debolezza contrattuale che caratterizza questo soggetto rispetto alla controparte, il fornitore del bene o del servizio. L’asimmetria tra questi soggetti risiede essenzialmente nella carenza di informazioni, in capo al consumatore, sulle caratteristiche del prodotto che si accinge ad acquistare o del servizio che intende utilizzare. Per tale motivo, il Codice del consumo dedica particolare attenzione agli obblighi informativi del fornitore del bene o del servizio e al loro contenuto, del quale sono “elementi essenziali”, secondo l’art. 5, comma 2, “Sicurezza, composizione e qualità dei prodotti e dei servizi “.
Gli elementi oggettivi sui quali poggia la tutela del consumatore per i vizi della cosa acquistata sono l’oggetto della vendita, cioè il bene di consumo, e il difetto di conformità.
Ai fini della disciplina in esame, per bene di consumo si intende: “qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, tranne: 1) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai; 2) l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; 3) l’energia elettrica” (art. 128, comma 1, lett. a, Codice del consumo).
Il requisito del difetto di conformità si ricava in termini negativi dall’art. 129, comma 2, che individua i presupposti di conformità dei beni di consumo. Essi si presumono conformi al contratto se, ove pertinenti, coesistono le seguenti circostanze:
Sempre in base all’art. 129 del Codice del consumo, il difetto di conformità che deriva dall’imperfetta installazione del bene di consumo è equiparato al difetto di conformità del bene quando l’installazione è compresa nel contratto di vendita ed è stata effettuata dal venditore o sotto la sua responsabilità. Tale equiparazione si applica anche nel caso in cui il prodotto, concepito per essere installato dal consumatore, sia da questo installato in modo non corretto a causa di una carenza delle istruzioni di installazione.
In generale, il consumatore ha diritto a informazioni commerciali complete, comprensibili ed esaustive, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore (cfr. art. 5 Codice del consumo). Speculari a tale diritto sono gli obblighi informativi del venditore, dei quali sono contenuto essenziale la sicurezza, la composizione e la qualità dei prodotti e dei servizi (art. 5, comma 2, Codice del consumo).
Il Codice del consumo (art. 6) prescrive, inoltre, il contenuto minimo delle informazioni che devono essere inderogabilmente fornite al consumatore, ovvero le indicazioni relative:
Tali informazioni devono essere riportate in modo chiaro e leggibile.
Gli elementi oggetto di informazioni sono funzionali a una scelta quanto più possibile consapevole da parte del consumatore, il quale deve essere messo nelle condizioni di optare per il bene o il servizio maggiormente confacente alle proprie esigenze e di esercitare i diritti nascenti dal rapporto instaurato con il fornitore del prodotto.
Questa tutela di carattere generale è integrata, in materia di conformità dei beni di consumo, dalle disposizioni degli artt. 128 e ss. del Codice del consumo. Il venditore, infatti, non deve solo fornire al consumatore le informazioni minime sul prodotto e sul produttore o importatore, ma è tenuto anche a consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita (art. 129, comma 1, Codice del consumo) ed è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene (art. 130, comma 1, Codice del consumo).
Quindi, come le norme codicistiche in materia di compravendita, anche il Codice del consumo prevede l’obbligo per il venditore di garantire l’assenza di criticità strutturali e funzionali nel bene venduto. Mentre nel Codice civile tali criticità sono definite vizi (art. 1490) e mancanza di qualità (art. 1497), nel Codice del consumo si parla di difetto di conformità rispetto al contratto di vendita, che, come detto, ricorre quando manca taluna delle condizioni previste dall’art. 129, comma 2 Codice del consumo.
Ai fini della disciplina in materia di garanzia per difetto di conformità, il venditore è ogni qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di vendita, di permuta, di somministrazione, di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre (cfr. art. 128, comma 1 e comma 2, lett. b, Codice del consumo).
Se il prodotto oggetto di vendita non è conforme, nei termini poc’anzi indicati, al contratto concluso dal consumatore, questi ha a disposizione molteplici strumenti di tutela, disciplinati dall’art. 130 del Codice del consumo secondo un ordine progressivo in base al quale hanno priorità i rimedi volti a rimuovere il difetto di conformità del bene (ripristino, senza spese, della conformità mediante riparazione o sostituzione ex art.130, commi 3, 4, 5 e 6) – c.d. rimedi primari – seguiti dai rimedi c.d. secondari, ovvero la riduzione adeguata del prezzo e lo scioglimento definitivo del vincolo contrattuale mediante la risoluzione (art. 130, commi 7, 8 e 9).
Riparazioni o sostituzioni. Il consumatore può chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo senza spese, cioè senza che il consumatore debba farsi carico dei costi indispensabili per rendere conformi i beni, in particolar modo con riferimento alle spese effettuate per la spedizione, per la mano d’opera e per i materiali (cfr. art. 130, comma 6, Codice del consumo).
La scelta del rimedio è rimessa alla discrezionalità del consumatore, a meno che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro. A tal fine, si considera eccessivamente oneroso il rimedio che impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro, tenendo conto:
Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate “entro un congruo termine” dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore lo ha acquistato (art. 130, comma 5, Codice del consumo).
La riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. In alternativa ai rimedi sopra descritti, il consumatore può chiedere, a sua scelta, la riduzione del prezzo del bene o la risoluzione del contratto quando ricorre uno dei seguenti casi:
Nel determinare l’importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell’uso del bene.
Come detto, il consumatore può scegliere i rimedi previsti dall’art. 130 Codice del consumo attenendosi alla gerarchizzazione con la quale sono ordinati. Il comma 10 dell’art. 130 esclude espressamente la possibilità per il consumatore di chiedere la risoluzione del contratto quando il difetto è di lieve entità e la riparazione o sostituzione non è stata impossibile o eccessivamente onerosa. Tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che, anche nell’ipotesi in cui la sostituzione o riparazione del bene non siano state impossibili né siano eccessivamente onerose, il consumatore, scaduto il termine congruo per la sostituzione o riparazione, senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero se le stesse abbiano arrecato un notevole inconveniente, può agire per la riduzione del prezzo ovvero per la risoluzione del contratto, pur in presenza di un difetto di lieve entità (cfr. Cass. 03/06/2020, n. 10453).
Tale principio è stato confermato anche da Cass. 14/10/2020, n. 22146, secondo cui, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non è preclusa la possibilità di agire successivamente per la risoluzione del contratto quando sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto
Poiché il venditore è responsabile della conformità del bene al contratto, egli stesso può offrire al consumatore, a seguito della denuncia del difetto, uno dei rimedi previsti dall’art. 130 del Codice del consumo. In questo caso, se il consumatore ha già chiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, laddove possibile, con l’obbligo di rispettare il congruo termine di cui al comma 5 dell’art. 130, salva l’accettazione di un rimedio diverso da parte del consumatore.
Se il consumatore non ha richiesto uno specifico rimedio dopo la denuncia, egli può accettare o meno il rimedio proposto dal venditore e, in quest’ultimo caso, optare per un rimedio diverso, nei termini di cui all’art. 130.
Il venditore è responsabile della conformità del bene al contratto di vendita – ed è tenuto, di conseguenza, ad attuare i rimedi previsti dall’art. 130 Codice del consumo – quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene (art. 132, comma 1, Codice del consumo).
Va anche rammentato che, in base all’art. 129, comma 3, del Codice del consumo, non vi è difetto di conformità – e quindi nemmeno il diritto alle garanzie di cui all’art. 130 – se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto, non poteva ignorarlo con l’ordinaria diligenza o se il difetto di conformità deriva da istruzioni o materiali forniti dal consumatore.
Per poter beneficiare degli strumenti di cui all’art. 130, il consumatore deve denunciare il difetto di conformità entro due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto.
La denuncia ha lo scopo di rendere edotto il venditore circa l’esistenza di criticità nel bene consegnato,. Per tale motivo, essa non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del difetto o lo ha occultato.
La denuncia non deve presentare forme particolari, essendo sufficiente che venga fatta «con qualunque mezzo che in concreto si riveli idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati» (Cass. 03/04/2003, n. 5142; Cass. SS.UU. 15.1.1991 n. 328).
Come sottolineato anche dalla Corte di cassazione, a carico del consumatore grava l’onere di denunciare il difetto di conformità attraverso la tempestiva comunicazione della sua esistenza, senza che occorra la prova di tale difetto o che ne venga indicata in modo preciso la causa (v. Cass. 15/02/2022, n. 4948). Tale precisazione discende direttamente dalla disciplina europea in materia di tutela del consumatore, in particolare, dalla Direttiva 1999/44 CE, concernente taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, della quale il Codice del consumo costituisce la trasposizione nell’ordinamento italiano.
La non necessità di una puntuale indicazione delle cause della non conformità del prodotto è confermata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha osservato che «l’onere fatto gravare sul consumatore non può spingersi oltre quello consistente nel denunciare al venditore l’esistenza di un difetto di conformità. Quanto al contenuto di tale informazione, in questa fase non si può esigere che il consumatore produca la prova che effettivamente un difetto di conformità colpisce il bene che ha acquistato. Tenuto conto dell’inferiorità in cui egli versa rispetto al venditore per quanto riguarda le informazioni sulle qualità di tale bene e sullo stato in cui esso è stato venduto, il consumatore non può neppure essere obbligato ad indicare la causa precisa di detto difetto di conformità. Per contro, affinché l’informazione possa essere utile per il venditore, essa dovrebbe contenere una serie di indicazioni, il cui grado di precisione varierà inevitabilmente in funzione delle circostanze specifiche di ciascun caso di specie, vertenti sulla natura del bene in oggetto, sul tenore del corrispondente contratto di vendita e sulle concrete manifestazioni del difetto di conformità lamentato» (CGUE, 4 giugno 2015, causa C497/13).
L’art. 132, comma 3 prevede una presunzione iuris tantum a favore del consumatore, in base alla quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data. In tal modo, il consumatore viene dispensato dall’obbligo di provare che il difetto di conformità esisteva alla data della consegna del bene, posto che, come osservato dalla giurisprudenza, il manifestarsi di tale difetto, nel breve periodo di sei mesi, consente di supporre che, per quanto si sia rivelato solo successivamente alla consegna del bene, esso era già presente, “allo stato embrionale”, nel bene al momento della consegna (cfr. Cass. 07/02/2022, n. 3695, CGUE, causa C497/13, cit.).
La presunzione in parola è superabile attraverso una prova contraria: ove il difetto si manifesti entro il termine dei sei mesi, il consumatore gode di un’agevolazione probatoria, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio mentre grava sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
Superato il predetto termine di sei mesi, incombe sul consumatore l’onere della prova positiva dell’esistenza del difetto, della sua riconducibilità all’epoca dell’acquisto del bene e del collegamento tra il difetto e l’eventuale danno lamentato (cfr. Cass. 15/02/2022, n. 4948).
L’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene; tuttavia, il consumatore, che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può far valere sempre i diritti di cui all’articolo 130, comma 2, purché il difetto di conformità sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza del termine semestrale sopra indicato (art. 132, comma 4, Codice del consumo).
L’azione di accertamento della difformità del prodotto deve essere esercitata dal consumatore nei confronti del venditore finale, cioè del soggetto che ha fornito direttamente il prodotto al consumatore, in quanto solo quest’ultimo può considerarsi suo dante causa. Tale precisazione è particolarmente rilevante nelle c.d. vendite a catena, vale a dire in operazioni in cui si succedono cessioni relative agli stessi beni, effettuate a titolo oneroso tra soggetti passivi, con un unico trasporto dei beni da un Paese UE a un altro. È il caso, ad esempio, del consumatore, residente in Italia, che acquista da una concessionaria italiana un’auto ceduta alla concessionaria da un’azienda automobilistica avente sede in Germania.
Secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, nelle “vendite a catena” spettano all’acquirente due azioni: quella nascente dal contratto, che sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l’autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori, e quella extracontrattuale, che è esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa (cfr. Cass. 05/02/2015, n. 2115).
Questo principio è stato ribadito dalla Corte anche con specifico riferimento alle vendite a catena di beni di consumo, nelle quali «all’acquirente spettano, ai sensi dell’art. 131 del d.lgs. n. 206 del 2005, l’azione contrattuale, esperibile esclusivamente nei confronti del diretto venditore, per l’ipotesi di difetto di conformità del bene, nonché quella extracontrattuale contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa; né l’eventuale prestazione volontaria, da parte del produttore, di una garanzia convenzionale, ai sensi dell’art. 133 del citato d.lgs., determina una deroga a tali principi, sicché il cliente finale (consumatore) non può agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (venditore finale), ultimo anello della detta catena e suo dante causa» (Cass. 27/07/2017, n. 18610).
Di conseguenza, la richiesta di attuare i rimedi volti a rimuovere il difetto di difformità del prodotto, di cui all’art. 130 Codice del consumo, deve essere rivolta esclusivamente al venditore finale. Quest’ultimo, poi, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva (art. 131, comma 1, Codice del consumo).
Il venditore finale che abbia ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore, può agire, entro un anno dall’esecuzione della prestazione, in regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili per ottenere la reintegrazione di quanto prestato.
Alla garanzia legale di conformità del bene di consumo, prevista dall’art. 130 del Codice del consumo, può aggiungersi una garanzia convenzionale. Si tratta di “qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità” (art. 128, comma 2, lett. c, Codice del consumo). Essa è facoltativa e integrativa della garanzia legale e, in base all’art. 133 del Codice del consumo, deve almeno indicare:
A richiesta del consumatore, la garanzia deve essere disponibile per iscritto o su altro supporto duraturo a lui accessibile. La garanzia deve essere redatta in lingua italiana con caratteri non meno evidenti di quelli di eventuali altre lingue. Una volta rilasciata, la garanzia vincola chi la offre, anche se non è rispondente ai predetti requisiti e il consumatore può continuare ad avvalersene ed esigerne l’applicazione.
Di Giorgia Andriani