(Segue): I fondi d’investimento nel diritto italiano
1 .Premessa
La disciplina è contenuta nel Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione Finanziaria, d’ora in poi, per brevità, solo T.U.F.) e successive modificazioni che ha abrogato il precedente sistema normativo costituito dalla: a) Legge n. 77 del 23 marzo 1983 (ad eccezione degli artt. 9 e 10, contenenti disposizioni tributarie) per i fondi comuni d’investimento mobiliare aperti; b) Legge n. 344/1993 del 14 agosto 1993 per i fondi comuni d’investimento mobiliare chiusi e c) Legge n. 86/1994 del 25 gennaio 1994 per i fondi comuni d’investimento immobiliare chiusi.
Il Fondo di Investimento può essere definito (ma la definizione è da ritenersi valida solo per i mobiliari ed immobiliari) come quel patrimonio, suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di soggetti (partecipanti del Fondo), gestito in monte (ossia, gestito in maniera collettiva o non individuale).
Tale definizione è la sintesi che può essere desunta del combinato disposto delle lett. J e K) dell’art. 1 [1], comma 1 T.U.F. in parola del quale: i Fondi di Investimento rappresentano un «“Organismo di investimento collettivo del risparmio” (O.I.C.R.), costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore» per la «prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi da consumatori, a valere sul patrimonio dell’OICR, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata».
La materia, come molte altre negli ultimi anni, è stata oggetto di forte delegificazione al fine di raggiungere una maggiore semplificazione e flessibilità rispetto al mercato. In tal modo, è stato riservato ampio spazio alla regolamentazione secondaria da parte, ad esempio, della Banca d’Italia, e della Consob.
A seguito dell’entrata in vigore della direttiva 2009/65/CE (c.d. UCITS IV) [2], dal 1 dicembre 2014 i Fondi comuni d’Investimento (SICAV di OICR aperti conformi alla direttiva citata) possono richiedere l’ammissione alla negoziazione a piazza Affari.
2. La natura giuridica
Per lungo tempo, la natura giuridica è stata controversa a causa di un acceso dibattito dottrinale ormai risalente nel tempo.
Secondo l’impostazione tradizionale, i Fondi comuni di investimento venivano considerati una comunione sui generis dei partecipanti, sicché i beni conferiti sarebbero appartenuti pro quota a ciascuno dei sottoscrittori. Altra parte della dottrina contemporanea (che si poneva in contrapposizione a tale ricostruzione) sosteneva che i fondi comuni dovevano considerarsi di proprietà della S.G.R..
Entrambi gli orientamenti non furono esenti da critiche: contro la teoria della comunione, fu rilevata la diversità della struttura e dello scopo dei due istituti.
Con riferimento alla teoria della proprietà della S.G.R., era lapalissiano che le caratteristiche tipiche del fondo difettavano in diversi punti dal diritto di proprietà ex art. 832 c.c..
Superate dette impostazioni, alcuni ebbero a sostenere – anche sulla scia di una pronuncia giurisprudenziale [3] – che il fondo comune di investimento ha una sua soggettività giuridica, distinta tanto da quella dei partecipanti, quanto da quella della S.G.R..
Tuttavia, altra parte della dottrina negava che il fondo fosse un soggetto di diritto e finiva con il riconoscere in esso un patrimonio separato della S.G.R. la quale, ancorché qualificata come titolare dei beni conferiti, ne detiene in realtà il possesso, dovendo agire sempre e comunque nell’interesse dei sottoscrittori. Questi, altresì, sono sempre liberi di cedere le proprie quote ad altri sottoscrittori così ri-acquisendo il possesso di quanto precedentemente conferito.
Il vantaggio di questo orientamento insisteva nel fatto che, riconoscere, nel fondo, un autonomo soggetto di diritto, significava elevarlo ad autonomo centro di imputazione giuridica, sicché la proprietà e la titolarità dei beni conferiti doveva essere ricondotta in capo al fondo medesimo.
Orientamento, certo, non scevro da critiche. Dapprima è stato affermato che non era possibile individuare una struttura organizzativa minima in grado di agire (come, ad esempio, accade nelle associazioni).
È stato ulteriormente osservato che detta ricostruzione contrasta con l’art. 36, comma 5 T.U.F. in parola del quale S.G.R. risponde nei confronti dei partecipanti per il proprio operato; al contrario, e quindi ove il fondo fosse un soggetto di diritto, la S.G.R. sarebbe responsabile direttamente nei suoi confronti.
Del medesimo parere è la Corte di cassazione che, antecedentemente alle modifiche apportate all’art. 36 comma 6 T.U.F. ha cercato di fare chiarezza in merito alla natura dei fondi in parola.
La Corte, rimarcando l’assenza di una struttura organizzativa minima in grado di consentire al fondo di agire senza passare tramite la S.G.R., ha tacciato la tesi dell’autonomia soggettiva come «un’inutile complicazione» (c.f.r. Cass. civ. 15 luglio 2010, n. 16605, in Foro it., 2011, I, 1854 ss.). Contestualmente, ha chiarito che alla S.G.R. spetta solo la proprietà formale del fondo, mentre la proprietà sostanziale del medesimo spetta ai partecipanti.
In una pronuncia di poco successiva, Corte ha affermato che i fondi comuni di investimento hanno la natura di patrimonio separato della S.G.R. rinvenendo il fondamento normativo di
tale ricostruzione negli artt. 1, lett. J), e 36 comma 6, del TUF (conf. Corte cass., sent. n. 12187/2013 del 20 maggio 2013).
Attenta dottrina – come già parzialmente affermato poc’anzi – ha avuto modo si affermare che la Società di gestione del risparmio non può dirsi titolare di un vero e proprio diritto soggettivo, ma solamente di una situazione giuridica funzionale, che può essere descritta come «proprietà fiduciaria» o «proprietà funzionale» del fondo.
Stando così le cose, è possibile affermare che la struttura dei fondi comuni di investimento appare assimilabile, con le dovute distinzioni, a quella del trust di derivazione anglosassone.
Certo, il nostro ordinamento è ancora troppo legato (seppur si intravedono alcuni spiragli, su tutti la proprietà temporanea) alla concezione, di stampo romanistico, sulla quale si fonda il principio del numerus clausus dei diritti reali. Tale concezione rende alquanto difficile accogliere l’idea, tipica dei sistemi di common law, della proprietà nell’ottica della gestione della stessa nell’interesse altrui.
Tuttavia, secondo alcuna dottrina, la descrizione della S.G.R. quale “proprietaria funzionale” appare particolarmente apprezzabile, dal momento che l’attribuzione alla S.G.R. della titolarità dei beni in fondo è finalizzata al perseguimento di scopi che in realtà le sono estranei, in quanto coincidenti con gli interessi dei sottoscrittori.
Cionondimeno, ulteriore elemento a favore della natura di patrimonio separato del fondo, pare trarsi dal novellato art. 36, comma 6, del T.U.F. poiché, attraverso tale disposizione, il legislatore ha creato una linea di demarcazione netta tra il patrimonio della S.G.R., quello rappresentato dal fondo e quello degli investitori.
Mediante un ragionamento a contrario, tale norma, secondo una parte minoritaria della dottrina, dimostrerebbe l’attitudine del fondo a porsi quale «centro di imputazione unitario di rapporti giuridici», tale per cui sarebbe possibile «riconoscere al fondo tutti gli estremi della soggettività».
Tuttavia, a giungere a siffatta conclusione non è sufficiente il mero dato testuale della norma, poiché al fine di interpretare correttamente una disposizione normativa, è necessario tenere in debita considerazione non solo il tenore del dato testuale, ma anche del sistema complessivo nel quale è inserita. A tal fine, dunque, le espressioni «per suo conto» o «risponde» non sono idonei – e, a parere di chi scrive, sufficienti – a perorare la causa dell’autonomia soggettiva.
Tuttavia, esistono vie traverse per giungere alla separazione patrimoniale rappresentate non tanto con la creazione di un nuovo soggetto di diritto, bensì con la reazione di patrimoni separati: idea che si sposa perfettamente con la tendenza del nostro ordinamento verso la c.d. «specializzazione della responsabilità patrimoniale», determinata dal moltiplicarsi di fattispecie normative che derogano al principio di universalità della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c..
3. La struttura organizzativa
I fondi presentano una struttura organizzativa trilatera, nella quale i vertici sono costituiti da: a) gli investitori (i partecipanti); b) la Società di Gestione del Risparmio (S.G.R.[4]) ed infine c) dalla banca depositaria, alla quale viene riconosciuto il ruolo di custode degli strumenti finanziari[5] e delle disponibilità liquide è affidata ad una banca depositaria.
Sull’attività svolta da questi soggetti è previsto il controllo della Banca d’Italia e della Consob.
L’art. 36, comma 1 T.U.F. prevede che la gestione sia demandata alla società di Gestione del Risparmio (d’ora in poi, per brevità, S.G.R.) istituita ad hoc.
La S.G.R. è il principale, ancorché non l’unico, soggetto che ha il compito di istituire, promuovere, organizzare e gestire il patrimonio dei fondi comuni d’investimento ed amministra i rapporti con i partecipanti. Ma non è l’unico soggetto in
Difatti, il fondo può essere gestito da una S.G.R. diversa da quella che lo ha istituito, in tal caso la S.G.R. interessata stipula un’apposita convenzione. I capitali versati dai partecipanti formano un patrimonio autonomo sul quale la S.G.R. esercita le funzioni di amministrazione e la banca depositaria quelle di custodia dei titoli e di controllo sull’attività svolta dalla S.G.R.. Le quote di partecipazione ai fondi comuni, tutte di eguale valore e con eguali diritti, sono rappresentate dai certificati nominativi o al portatore, a scelta dell’investitore.
La Banca d’Italia ha il potere di stabilire in via generale, previa interrogazione della Consob, le caratteristiche dei certificati e il valore nominale unitario iniziale delle quote.
Il successivo comma 3, prevede che dette società (la società promotrice, il gestore e la banca depositaria), nell’esercizio delle rispettive funzioni, agiscono in modo indipendente e nell’esclusivo interesse dei partecipanti al fondo; esse, tuttavia assumono solidalmente, nei confronti dei partecipanti, gli obblighi e le responsabilità del mandatario.
Ciascun fondo o comparto di esso, costituisce patrimonio autonomo; deve individuare le dipendenze presso le quali sono espletate le funzioni di emissione e consegna dei certificati e di rimborso delle quote di partecipazione; deve definire una procedura di sostituzione nell’incarico della banca onde evitare soluzione di continuità nello svolgimento dei compiti ad essa attribuiti dalla legge.
4. Le tipologie di fondo
Preliminarmente, è opportuno precisare che il Ministero dell’economia e delle Finanze determina i criteri generali cui devono uniformarsi i fondi con riguardo: a) all’oggetto dell’investimento; b) alle categorie di investitori cui è destinata l’offerta delle quote; alle modalità di partecipazione ai fondi aperti e chiusi (con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote, all’eventuale ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire); c) all’eventuale durata minima e massima; d) alle ipotesi nelle quali deve adottarsi la forma del fondo chiuso; e) ai casi in cui è possibile derogare alle norme prudenziali di contenimento e di frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia; f) alle scritture contabili, il rendiconto e i prospetti periodici che le società di gestione del risparmio redigono, in aggiunta a quanto prescritto per le imprese commerciali, oltre che gli obblighi di pubblicità del rendiconto e dei prospetti periodici; g) alle ipotesi nelle quali la società di gestione del risparmio deve chiedere l’ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato dei certificati rappresentativi delle quote dei fondi; i requisiti e i compensi degli esperti indipendenti.
La Banca d’Italia ha altresì competenza in materia di: a) determinazione dei criteri generali di redazione del regolamento del fondo e del suo contenuto minimo; b) di procedure di fusione tra fondi comuni d’investimento; c) di operatività all’estero delle società di gestione del risparmio; d) di offerta in Italia di quote di fondi comuni d’investimento armonizzati e non armonizzati; e) di condizioni e procedure per il rilascio dell’autorizzazione per l’offerta in Italia di quote di fondi comuni non rientranti nel campo di applicazione delle direttive sugli OICVM; f) di autorizzazione delle società di gestione del risparmio; g) di determinazione delle condizioni per l’assunzione dell’incarico di banca depositaria e di modalità di subdeposito dei beni del fondo.
La Consob è invece tenuta ad individuazione le informazioni da fornire al pubblico nell’ambito della commercializzazione delle quote.
La disciplina che individua le tipologie e determina i criteri generali cui devono uniformarsi i fondi è il Decreto Ministeriale n. 228 del 24 maggio 1999 e ss. mod. ed int..
5. (segue): Il Fondo aperto
Il fondo aperto (ossia, a capitale variabile), è la forma più diffusa. Esso è caratterizzato dalla libertà di emettere ulteriori quote rappresentative del patrimonio e dall’obbligo di riscattarle in qualsiasi momento su richiesta dei possessori secondo le modalità previste dalle regole di funzionamento.
Il capitale può variare continuamente in relazione agli acquisti ed alle vendite realizzate sul mercato ad opera dei gestori e all’andamento del saldo netto tra nuova raccolta e riscatti richiesti dai partecipanti.
Tale tipologia di fondo è suddiviso in quote di partecipazione il cui prezzo unitario si determina dal rapporto tra il totale delle attività nette del fondo ed il numero delle quote in circolazione.
I fondi aperti investono il loro patrimonio in due categorie: a) strumenti finanziari quotati e non quotati e b) depositi bancari.
Il patrimonio o non può essere utilizzato per: a) acquistare metalli o pietre preziose o certificati rappresentativi dei medesimi; b) concedere prestiti o garanzie sotto qualsiasi forma; c) effettuare operazioni allo scoperto su strumenti finanziari, salvo quanto eventualmente stabilito dalla Banca d’Italia; d) investire in azioni emesse dalla S.G.R. che gestisce il fondo e dalla società promotrice ove diversa dal gestore.
6. (segue): Il Fondo chiuso
Il fondo chiuso è caratterizzato da un ammontare di capitale da sottoscrivere ed un numero di quote prestabilito al momento della sua costituzione e dal diritto al rimborso delle quote che è riconosciuto ai partecipanti solo a scadenze predeterminate.
Sono obbligatoriamente istituiti in forma chiusa i fondi che investono in: a) beni immobili e diritti reali immobiliari; crediti e titoli rappresentativi di crediti; b) strumenti finanziari non quotati diversi dagli OICR aperti in misura superiore al 10% del patrimonio; c) altri beni diversi dagli strumenti finanziari e dai depositi bancari, per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale.
Il patrimonio del fondo non può essere investito in beni direttamente o indirettamente ceduti da un socio, amministratore, direttore generale o sindaco della S.G.R., o da una società del gruppo, né tali beni possono essere direttamente o indirettamente ceduti ai medesimi soggetti.
7. (segue): Il Fondo chiuso con apporto pubblico
Il fondo chiuso con apporto pubblico per il quale, in alternativa alle modalità operative previste in generale per i fondi chiusi, le quote del fondo possono essere sottoscritte, entro un anno dalla sua costituzione, con apporto di beni immobili o di diritti reali su immobili, qualora l’apporto sia costituito per oltre il 51% da beni e diritti apportati esclusivamente dallo Stato, da enti previdenziali pubblici, da regioni, da enti locali e loro consorzi, oltre che da società interamente possedute, anche indirettamente, dagli stessi soggetti. La S.G.R. non deve essere controllata, ai sensi dell’art. 2359 c.c., neanche indirettamente, da alcuno dei soggetti che procedono all’apporto. Tuttavia nell’individuazione del soggetto controllante non si tiene conto delle partecipazioni detenute dal ministero del Tesoro. Il regolamento del fondo deve prevedere l’obbligo, per i soggetti che effettuano conferimenti in natura, di integrare gli stessi con un apporto in denaro non inferiore al 5% del valore del fondo. Detto obbligo non sussiste qualora partecipino al fondo, esclusivamente con apporti in denaro, anche soggetti diversi da quelli che hanno effettuato apporti in natura e purché il relativo apporto in denaro non sia inferiore al 10% del valore del fondo. La liquidità derivata dagli apporti in denaro non può essere utilizzata per l’acquisto di beni immobili o diritti reali immobiliari. Fanno eccezione gli acquisti di beni immobili e diritti reali immobiliari strettamente necessari a integrare i progetti di utilizzo di beni e diritti apportati a condizione che detti acquisti comportino un investimento non superiore al 30% dell’apporto complessivo in denaro. Gli immobili apportati al fondo sono sottoposti alle procedure di stima, redatta e depositata con le modalità di cui all’art.2342 c.c., predisposte semestrale da parte di un collegio di almeno tre esperti indipendenti. Gli esperti indipendenti, persone fisiche o persone giuridiche scelte dalla S.G.R., devono prestare idonea garanzia bancaria o assicurativa almeno per un importo complessivo pari al 20% del valore attribuito ai beni immobili oggetto della valutazione. L’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile una sola volta. L’offerta al pubblico deve essere corredata dalla relazione degli esperti indipendenti, concludersi entro 18 mesi dalla data dell’ultimo apporto in natura oltre che comportare un collocamento di quote per un numero non inferiore al 60% del loro numero originario presso investitori diversi dai soggetti conferenti.
Gli interessati all’acquisto delle quote offerte sono tenuti a fornire alla S.G.R., su richiesta della medesima, garanzie per il buon esito dell’impegno di sottoscrizione assunto. Entro 6 mesi dalla consegna delle quote agli acquirenti, la S.G.R. richiede alla Consob l’ammissione dei relativi certificati alla negoziazione in un mercato regolamentato, salvo il caso in cui le quote siano destinate esclusivamente a investitori qualificati. Qualora, decorso il termine di 18 mesi dalla data dell’ultimo apporto in natura, risulti collocato un numero di quote inferiore al 60%, la S.G.R. deve: dichiarare il mancato raggiungimento dell’obiettivo minimo di collocamento; dichiarare decadute le prenotazioni ricevute per l’acquisto delle quote; deliberare la liquidazione del fondo, che viene effettuata da un commissario nominato dal ministro del Tesoro. I progetti di utilizzo degli immobili e dei diritti apportati di importo complessivo superiore a 2 miliardi di lire, risultanti dalla relazione degli esperti indipendenti, sono sottoposti all’approvazione della conferenza dei servizi di cui all’art. 14, l. 7.8.1990 n. 241.
8. (segue): Il Fondo speculativo, cosiddetto hedge funds
I fondi speculativi, noti anche come hedge funds, possono essere istituiti, sia in forma chiusa sia in forma aperta, in deroga alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia con regolamento del 20.9.1999. Tali fondi hanno uno schema strutturale atipico disciplinato esclusivamente da regole negoziali e senza predefiniti vincoli in materia di oggetto dell’investimento. Il numero dei soggetti che partecipano a ciascun fondo non può superare le 100 unità. L’ammontare minimo di ciascuna sottoscrizione non può essere inferiore a 1 milione di euro. Le quote non possono essere oggetto di sollecitazione all’investimento. Il regolamento del fondo deve indicare la rischiosità dell’investimento e la circostanza che esso avviene in deroga ai divieti e alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia oltre che i beni oggetto dell’investimento e le modalità di partecipazione con riferimento all’adesione dei partecipanti e al rimborso delle quote. In considerazione degli effetti che i fondi speculativi possono avere sulla stabilità della S.G.R., questi possono essere istituiti o gestiti solo da S.G.R. che abbiano oggetto esclusivo l’istituzione o la gestione di fondi speculativi.
9. (segue): Il Fondo riservato
I fondi riservati possono essere sia aperti che chiusi e sono destinati a investitori qualificati. Sono considerati operatori qualificati: a) le imprese di investimento, le banche, gli agenti di cambio, le S.G.R., le SICAV, i fondi pensione, le imprese di assicurazione, le società finanziarie capogruppo di gruppi bancari e i soggetti iscritti negli elenchi previsti dagli artt. 106, 107 e 113 TUBC; b) i soggetti esteri autorizzati a svolgere, in forza della normativa in vigore nel proprio Paese di origine, le medesime attività svolte dai soggetti di cui al precedente punto; c) le fondazioni bancarie; d) le persone fisiche e giuridiche e gli altri enti in possesso di specifica competenza ed esperienza in operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dalla persona fisica o dal legale rappresentante della persona giuridica o dell’ente. Nel regolamento del fondo devono essere indicati i beni oggetto dell’investimento che possono essere: strumenti finanziari quotati e non quotati in un mercato regolamentato; depositi bancari di denaro; beni immobili e diritti reali immobiliari; crediti e titoli rappresentativi di crediti; altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale. Il regolamento, inoltre, può fissare norme prudenziali diverse da quelle stabilite in via generale dalle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio emanate dalla Banca d’Italia.
10. (segue): Il Fondo aperto
Il Ministero dell’economia e delle finanze può emettere titoli speciali che prevedono diritti di conversione in quote dei fondi con apporti di beni immobili. Le somme incassate dal collocamento dei titoli speciali o dalla cessione delle quote oltre che dai proventi distribuiti dai fondi a fronte di quote di pertinenza dello Stato, affluiscono al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Parimenti gli enti locali territoriali sono autorizzati, fino alla concorrenza del valore dei beni conferiti, a emettere prestiti obbligazionari convertibili in quote di fondi; le somme incassate, in questo caso, verranno utilizzate per il finanziamento di investimenti o per la riduzione dell’indebitamento complessivo. Le S.G.R. che istituiscono o gestiscono tali fondi, non riservati a investitori qualificati, sono tenute ad acquisire in proprio una quota almeno pari allo 0,5% del patrimonio di ciascun fondo della specie.