Posted Feb 2023
A cura di: Eleonora Dolcini
Il D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, meglio conosciuto con il nome di “riforma Cartabia”, è entrato in vigore a far data dal 30 dicembre 2022 portando con sé un nutrito novero di novità, che coinvolgono tutti i libri del codice di rito. L’ambiziosa ristrutturazione del procedimento penale persegue principalmente tre obiettivi:
Vediamo ora più nel dettaglio le principali novità della riforma:
A partire dall’art. 110 c.p.p., gli atti per i quali è prevista la forma scritta devono necessariamente essere redatti e conservati in forma di documento digitale. Rispetto a tale regola generale viene fatta salva un’eccezione, con riferimento agli atti che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possono essere redatti in forma di documento informatico; in tale evenienza è in ogni caso imposta la conversione dell’atto in copia informatica da parte dell’ufficio che lo ha formato o ricevuto.
Dello stesso tenore è l’articolo 111 c.p.p., in materia di adattamento della sottoscrizione degli atti in formato digitale, disponendo che l’atto redatto digitalmente dovrà essere sottoscritto con firma digitale o altra firma elettronica qualificata.
Nodale è, poi, la disposizione dell’art. 111-bis, inserita ex novo nel codice di rito, che disciplina il deposito telematico: si prevede, infatti, l’esclusività e l’obbligatorietà dell’utilizzo di suindicato sistema per depositare telematicamente atti, memorie, richieste e documenti di ogni stato e grado del procedimento. In merito vengono contemplate due eccezioni: non saranno sottoposti all’obbligo di deposito telematico né gli atti che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possono essere acquisiti in copia informatica, e gli atti compiuti personalmente dalle parti, al fine di garantire l’accesso alla giustizia anche a quei soggetti che non abbiano conoscenze in materia tecnologica. Considerato quando sopra, l’art. 111-ter disciplina la materia del fascicolo telematico.
Anche le notificazioni e le comunicazioni subiscono l’effetto della digitalizzazione, dovendo essere eseguite telematicamente: l’art. 148 c.p.p. viene, quindi, riscritto, identificando le modalità telematiche come i mezzi ordinari con cui segreteria e cancelleria dovranno notificare gli atti. Al generale obbligo della modalità telematica di notificazione si affianca la possibilità di utilizzo delle forme tradizionali di notifica in ipotesi eccezionali, vale a dire quando sia così previsto per legge, manchi o non sia idoneo il domicilio digitale del destinatario, ci siano impedimenti tecnici oppure se gli avvisi e i provvedimenti siano stati comunicati oralmente agli imputati presenti o ai loro difensori.
L’inserimento della giustizia riparativa come valido aiutante del processo penale è sicuramente una delle novità più interessanti e importanti della riforma, che inserisce ex novo il titolo IV nel codice di procedura penale, con il nome di “disciplina organica della giustizia riparativa”.
La giustizia riparativa viene qui definita come “ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore” (art. 42, co. 1, lett. A del D.L. 150/2022).
L’esito riparativo consiste, invece, in qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti. L’accesso alla giustizia riparativa è gratuito ed è concesso alla vittima del reato, l’autore dell’offesa, altri soggetti appartenenti alla comunità (come ad esempio familiari) e chiunque vi abbia interesse, ed è esperibile per ogni tipo di illecito penale.
I principi e gli obiettivi fissati per l’esperimento della giustizia riparativa prevedono che:
I programmi di giustizia riparativa tendono a promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità; l’accesso è sempre favorito, con limitazione soltanto in caso di pericolo concreto per i partecipanti.
Nonostante la giustizia riparativa possa essere esperita anche prima della proposizione di querela, è all’interno del procedimento penale che trova la sua naturale sede. Le parti processuali, infatti, devono essere informate in merito alla possibilità di cominciare un percorso di giustizia riparativa. Già a partire dalla fase delle indagini, la persona sottoposta a queste ultime dev’essere avvisata della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa, sia con l’avviso ex art. 415-bis c.p.p. che nel decreto di fissazione di udienza. Successivamente, tale possibilità viene comunicata per mezzo del decreto penale di condanna e, a seguito di condanna, nell’ordine di esecuzione.
Anche la vittima e la persona offesa dal reato (soggetti che non sempre coincidono) sono destinatari di un avviso riguardo la possibilità di accesso a questo strumento: in questi casi l’Autorità deve anche comunicare che, per quanto riguarda i reati perseguibili a querela di parte, ove il programma di giustizia riparativa dovesse concludersi positivamente, ciò comporterà l’automatica remissione tacita di querela, e quindi l’estinzione del reato. Pertanto, in questi casi, la giustizia riparativa si delinea come effettiva alternativa alla giustizia tradizionale. Questo perché si ritiene che col conseguimento di un accordo riparativo (obbligatorio affinché si possa correttamente parlare di “esito riparativo”), venga meno l’interesse della persona offesa dal reato a vederlo punito. La riforma introduce poi un’altra ipotesi di remissione tacita di querela, vale a dire quando il querelante, senza giustificato motivo, è assente all’udienza nella quale è stato citato in qualità di testimone.
Per quanto riguarda i reati per i quali la querela è irrevocabile e per i reati perseguibili d’ufficio, l’esito riparativo non comporta l’estinzione del reato, bensì una diminuzione del quantum della pena.
E’ l’Autorità giudiziaria a disporre l’invio dell’imputato e della vittima al Centro per la giustizia riparativa, ove esperire il programma: nel caso il procedimento si trovi ancora nella sua fase iniziale, sarà il PM a disporla mentre nella fase del processo è invece il giudice a procedere in tale senso. E’ importante sottolineare come l’invio da parte dell’Autorità giudiziaria sia un’autorizzazione indispensabile per l’avvio del programma. L’esperimento di tale valutazione può essere o richiesto direttamente dall’imputato e dalla persona offesa, oppure disposto d’ufficio. Orbene, se per l’avvio del programma è necessaria una previa valutazione della situazione da parte dell’Autorità giudiziaria, con conseguente consenso all’accesso, questa autorizzazione non ha in alcun modo natura impositiva: la vittima e l’imputato, infatti, possono certamente rifiutarsi di dare inizio al programma (e questo trova conferma anche nel novero dei principi anzidetti, ove la partecipazione agli incontri deve essere volontaria). In materia, l’art. 129-bis c.p.p., al comma 3, statuisce i presupposti per l’invio alla giustizia riparativa: l’Autorità potrà invitare i soggetti interessati a prendere parte a un programma solo se questo risulti utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede, a seguito di una valutazione legata al fatto stesso e alle caratteristiche dei soggetti coinvolti. L’Autorità, nell’invitare all’accesso al programma, non potrà mai fare valutazioni sull’accertamento del fatto; il perché è facilmente intuibile: essendo il programma esperibile in ogni stato e grado del procedimento, se l’Autorità procedente dovesse sindacare in merito a gravi indizi di colpevolezza, si violerebbe il principio cardine della presunzione di innocenza e del diritto di difesa.
Al presupposto positivo appena illustrato se ne affianca uno negativo, ove si prevede che l’invio non può essere autorizzato quando lo svolgimento del programma potrebbe comportare un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti.
Una volta esperito l’invito da parte dell’Autorità competente, la vittima e la persona indicata come autore si devono recare al Centro per la giustizia riparativa, dove riceveranno, da parte dei mediatori, le informazioni legate al procedimento in una lingua a loro comprensibile e in modo adeguato all’età e alle capacità degli stessi. Una volta che sia stato loro illustrato l’iter esprimeranno, alla presenza eventuale dei loro difensori, il consenso a iniziare un programma di giustizia riparativa. I mediatori dovranno essere necessariamente in due.
Nei casi in cui l’esito positivo del programma può comportare l’estinzione del reato, a seguito della decisione delle parti di intraprendere tale percorso, il processo giudiziale si sospende; al contrario, per quei reati nei quali la giustizia riparativa è complementare e parallela al processo, non si è previsto alcun meccanismo sospensivo, che avrebbe altrimenti potuto creare problematiche in materia di ragionevole durata del processo.
Nel caso in cui il programma abbia esito positivo, i mediatori trasmettono all’autorità giudiziaria una relazione contenente la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto: questo è tutto ciò di cui verrà a conoscenza l’Autorità, in forza del granitico principio di totale riservatezza che permea l’intera l’attività di mediazione. Così, i mediatori – e chi prende parte al programma – sono tenuti al massimo riserbo relativamente alle informazioni delle quali vengono in possesso; le informazioni così acquisite non potranno essere in nessun caso utilizzate nel procedimento penale e, per maggiore tutela, al mediatore si applica lo scudo dell’art. 103 c.p.p. in materia di segreto, tale per cui questi non può in nessun caso essere obbligato a deporre o a rendere dichiarazioni avanti all’autorità giudiziaria. A differenza della riservatezza imposta ai mediatori civili e commerciali, nel caso della mediazione penale il principio diventa ancora più blindato: in quest’ultima ipotesi, infatti, i difensori possono assistere esclusivamente ai colloqui preliminari, non potendo più accedere una volta instaurato il programma. Questa limitazione trova la sua giustificazione nell’obiettivo stesso della giustizia riparativa: in questa sede i soggetti devono avere la possibilità di parlarsi e di ascoltarsi a livello personale e non giuridico.
La riforma Cartabia inserisce l’ipotesi di partecipazione a distanza nel procedimento penale, a condizione che vengano rispettati i diritti fondamentali delle parti e il principio del contraddittorio. Pertanto, il collegamento audiovisivo, così come previsto ex art. 133-ter c.p.p., deve essere realizzato in modo da salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti all’atto o all’udienza a pena di nullità. Le udienze così svolte devono in ogni caso osservare un’adeguata pubblicità per gli atti che siano compiuto da remoto e, come ulteriore garanzia, si prevede che sia sempre disposta la registrazione audiovisiva delle udienze o degli atti. Per quanto riguarda, poi, il luogo dal quale connettersi, esso dipende dallo stato di libertà dei soggetti: gli individui liberi dovranno collegarsi da un ufficio giudiziario individuato dall’autorità giudiziaria, i soggetti detenuti dal luogo di detenzione e i difensori dai propri studi. Viceversa, sembra che il Giudice e il Pubblico Ministero dovranno connettersi esclusivamente dall’aula di Tribunale.
Al fine di garantire una rappresentazione più accurata dell’atto la riforma, in armonia con il resto delle novità, prevede che la riproduzione audiovisiva e fonografica come modalità generale di documentazione, rinnovando l’art. 134 c.p.p. con una duplice finalità: assicurare, con un controllo più puntuale, il rispetto dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nell’atto, oltre che riascoltare e rivedere l’atto processuale in questione in tutti i casi in cui non sia ripetibile. In materia, il legislatore ha previsto che per l’interrogatorio di garanzia dell’indagato detenuto debba essere applicata la forma più garantista di registrazione; per quanto concerne invece l’interrogatorio di garanzia dell’indagato libero, si dovrà documentare con i mezzi di riproduzione audiovisiva o, se ciò non fosse possibile, con mezzi di riproduzione fonografica. La disciplina si applica analogicamente anche agli interrogatori svolti dal pubblico ministero.
In materia di notificazioni, sulla scia delle previsioni inerenti al processo telematico, viene data la possibilità alla persona sottoposta alle indagini di indicare i recapiti telefonici o gli indirizzi P.E.C. nella sua disponibilità e, nella fase successiva del processo, il pervenuto ha la facoltà di eleggere domicilio presso un indirizzo P.E.C. o un altro servizio elettronico di recapito certificato.
Per quanto riguarda le notifiche da eseguirsi all’imputato non detenuto successive alla prima, queste devono essere sempre effettuate al difensore. La riforma modifica l’art. 157 c.p.p., destinato a disciplinare la prima notificazione all’imputato non detenuto: al primo comma si prevede che, nei casi di cui all’art. 148, comma 4, c.p.p. – e, quindi, ove non si possa procedere alla notifica in via telematica – e qualora non abbia trovato applicazione l’art. 161 (ove si prevede che sia la polizia giudiziaria il compito di effettuare siffatti avvertimenti), la prima notificazione al prevenuto non detenuto debba avvenire mediante consegna alla persona di copia dell’atto in forma cartacea. In difetto, la notifica va eseguita nella «casa di abitazione o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa», attraverso consegna a un soggetto convivente, a un addetto alla casa o al servizio dell’imputato, o, in assenza, al portiere o a chi ne fa le veci. Viene poi inserito un nuovo comma 8-ter nell’art. 157 c.p.p., in forza del quale al compimento della notifica del primo atto, anche se avvenuto telematicamente, l’interessato deve essere avvisato che le notificazioni successive, diverse da quelle della chiamata in giudizio, saranno eseguite presso il difensore. E’ da questo principio che la riforma introduce il nuovo art. 157-bis c.p.p., secondo il quale è al patrocinatore che devono essere effettuate tutte le notificazioni all’imputato non detenuto successive alla prima, con l’eccezione di quelle relative alla vocatio in iudicium.
Per quanto concerne, invece, l’imputato che verta in stato di detenzione, sono state apportate modifiche all’art. 156 c.p.p.. Per effetto dell’intervento, in primo luogo, si stabilisce che tutte le notificazioni, incluse quelle successive alla prima, devono essere sempre effettuate mediante consegna di copia all’imputato nel luogo di detenzione, e, quindi, anche in caso di elezione o dichiarazione di domicilio. In secondo luogo, quanto all’ipotesi in cui il soggetto sia detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari, si prevede che tutte le notifiche, anche quelle posteriori alla prima, siano effettuate presso i luoghi indicati dall’art. 157 c.p.p., senza, tuttavia, ricorrere alle modalità telematiche.
La riforma sancisce il principio secondo cui si può procedere in assenza dell’imputato “solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una scelta volontaria e consapevole”. Si interviene, innanzitutto, sull’art. 420 c.p.p., aggiungendo un comma 2-bis, in forza del quale in presenza di notifiche regolari, nel caso in cui l’imputato non sia presente in udienza preliminare e non abbia comunicato un legittimo impedimento, il giudice è tenuto a verificare se vi sono i presupposti per procedere in assenza ai sensi dell’art. 420-bis c.p.p., fermo restando il principio cardine della presunzione di conoscenza della pendenza del procedimento in capo all’imputato. Il suindicato art. 420-bis disciplina le ipotesi di celebrazione del processo in absentia, indicando due situazioni idonee ad assicurare la certezza della conoscenza del processo, vale a dire quando il prevenuto sia stato citato mediante notifica a mani o tramite persona alla quale è stata data espressa delega dall’interessato per il ritiro dell’atto; dall’altro lato, laddove vi sia una rinuncia espressa dell’imputato a comparire o, in alternativa, sussista la rinuncia espressa a far valere un impedimento ex art. 420-ter c.p.p.
Il secondo comma dell’art. 420-bis c.p.p. consente altresì di procedere in absentia, pur in mancanza delle ipotesi sopraesposte, ove il giudice consideri altrimenti provato che l’imputato ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all’udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. Qui protagonista centrale è il giudice, al quale viene demandato il compito di verificare concretamente l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato. Il giudice, quindi, deve tenere in considerazione ogni circostanza rilevante del caso, come ad esempio le modalità di notifica, gli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, nonché la nomina di un difensore di fiducia.
Le novità introdotte sull’assenza coinvolgono anche l’appello. In proposito, viene introdotto un nuovo art. 598-ter c.p.p., denominato “assenza dell’imputato in appello”. In questo frangente si distingue tra imputato appellante e non. Quanto alla prima ipotesi, si prevede che, qualora il prevenuto appellante non compaia alle udienze che si svolgono in presenza ex artt. 599 e 602 c.p.p., si possa procedere in assenza anche in difetto del dettato dell’art. 420-bis c.p.p. Rispetto alla seconda ipotesi, ove l’imputato non appellante non sia presente alle suindicate udienze, si impone al giudice di accertare la sussistenza dei presupposti di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 420-bis c.p.p. In difetto, deve essere disposta con ordinanza la sospensione del processo e vanno ordinate le ricerche dell’imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione.
Nell’appello, quindi, la riforma si discosta da quanto stabilito rispetto al primo grado, nel quale deve essere emanata una sentenza di non doversi procedere. La diversità è stata giustificata dal fatto che nel secondo grado sussiste già una sentenza – quella appellata -, che verrebbe revocata ove intervenisse una sentenza di non luogo a procedere.
Quindi, nei casi di assenza dell’imputato il giudice, dopo aver disposto ricerche a mezzo della polizia giudiziaria, emana sentenza inappellabile di non doversi procedere. Questa misura, quindi, permetterà di avere un maggiore numero di procedimenti definiti.
Vista la vincolante portata del principio di cui sopra, il legislatore introduce una serie di rimedi, primo fra tutti la revoca, anche d’ufficio, dell’ordinanza che dichiara l’assenza, ove l’imputato compaia prima della decisione, ex art. 420-bis comma 6 c.p.p. La novella opera a tre condizioni:
Parimenti, l’art. 489 c.p.p. viene riformato, sulla scorta dell’art. 420-bis, comma 6, c.p.p.: da un lato si prevede che, nel caso in cui risulti che nell’udienza preliminare sia stata dichiarata l’assenza in difetto dei presupposti, il giudice dichiari, anche d’ufficio, la nullità del decreto di rinvio a giudizio e restituisca gli atti al giudice dell’udienza preliminare. L’invalidità è sanata, se non è eccepita dall’imputato che è comparso o ha rinunciato a comparire, ferma la possibilità di quest’ultimo di essere restituito nei termini in ordine alle facoltà in cui è decaduto. La nullità non è, invece, in alcun modo eccepibile o rilevabile d’ufficio, se il prevenuto si trovava nella condizione di comparire all’udienza preliminare.
Per altro verso, l’art. 489 c.p.p. subordina il rimedio alla prova fornita dall’imputato delle stesse condizioni di cui viene gravato ai sensi del nuovo art. 420-bis, comma 6, lett. a) e b), c.p.p. In tali ipotesi, resta, tuttavia, ferma la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza (art. 489, comma 2-bis, c.p.p.).
In merito all’appello, la riforma modifica l’art. 604 c.p.p.: il comma 5-bis è sostituito da una nuova disciplina, vertente sulle ipotesi nelle quali vi è la prova che nel giudizio di primo grado si è proceduto in assenza dell’imputato in difetto delle condizioni ex art. 420-bis, commi 1, 2 e 3, c.p.p. In questa evenienza, la Corte di appello è tenuta a dichiarare la nullità della sentenza e a disporre la trasmissione degli atti al giudice che procedeva al momento in cui si è verificata la nullità. Quest’ultima si deve necessariamente considerare sanata se non sia stata dedotta nell’atto di appello e, in ogni caso, non può essere rilevata o eccepita, ove emerga che l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo ed era nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata.
AMPLIAMENTO DEL NOVERO DEI REATI PROCEDIBILI A QUERELA DI PARTE
La riforma Cartabia allarga il panorama dei reati procedibili a querela di parte. Questi sono:
La scelta di ampliare tale novero ben si sposa con la necessità di abbattere il numero dei processi penali: il legislatore, infatti, delegando alle persone offese la possibilità di decidere se incardinare o meno il procedimento penale, alleggerisce de facto sia l’attività esperita dal PM sia l’eventuale incardinamento di procedimenti. Ciò poiché nei casi perseguibili a querela, la fattiva punibilità del reato dipende esclusivamente dalla volontà della vittima.
LA PRESCRIZIONE DEL REATO E L’IMPROCEDIBILITA’
La disciplina previgente, tramite la “legge Spazzacorrotti”, ha fondamentalmente abolito la prescrizione dopo il primo grado di giudizio: dopo la prima sentenza di condanna o di assoluzione, il processo non aveva alcun termine predeterminato, con la conseguenza che era sempre presente il rischio di rimanere imprigionati per svariati anni nelle maglie processuali.
La riforma Cartabia interviene, in questo senso, relativamente alle cause di sospensione. La sospensione determina, infatti, un temporaneo congelamento del termine di prescrizione, che smette di decorrere nel momento in cui si verificano determinati fatti giuridici e, intuibilmente, riprende a correre nel momento in cui tali fatti cessano.
Con la riforma Cartabia viene quindi abrogata la disposizione secondo la quale la sentenza di primo grado sospendeva la prescrizione sino alla conclusione del processo, rendendo pertanto “punibile” l’imputato fino, eventualmente, all’ultimo grado di giudizio.
Parimenti, anche l’improcedibilità con la riforma Cartabia ha subito un’interessante innovazione attraverso l’introduzione di una nuova causa di improcedibilità nell’art. 344-bis c.p.p. al fine di evitare il rischio che, una volta intervenuta la sentenza di primo grado e – dunque – cessato il corso della prescrizione, l’imputato possa rimanere a lungo intrappolato nei vari gradi successivi.
A tal fine, secondo la nuova disposizione, i giudizi di impugnazione (Appello e Cassazione) devono concludersi entro tempi prestabiliti, pena l’improcedibilità dell’azione penale e, in sostanza, la chiusura del processo
Tali tempistiche sono così strutturate:
Da notare che l’imputato ha facoltà di rinunciare all’improcedibilità: il soggetto quindi può sempre scegliere di proseguire con il giudizio. A ciò si aggiunga che l’improcedibilità non è applicabile per alcune fattispecie di reati, come ad esempio quelli puniti con l’ergastolo.
Ai termini per l’improcedibilità si applicano, poi, proroghe e sospensioni:
Proroghe:
la prima può essere ottenuta per massimo 1 anno per Appello e per massimo sei mesi per Cassazione, ed è concessa nel caso di procedimenti particolarmente complessi, in considerazione del numero di parti e delle questioni trattate.
La seconda proroga e le successive sono concesse solo per reati particolarmente gravi (tra cui si annoverano quelli di mafia, terrorismo, evasione, traffico stupefacenti larga scala e alcuni reati sessuali)
Sospensioni: si applicano nel caso di rinnovazione dell’istruttoria in appello o per le ricerche dell’imputato. In questo frangente è il Giudice a decidere l’ammontare di sospensione concedibile nel caso di specie e la sua decisione potrà essere oggetto di impugnazione in Cassazione. La Suprema Corte procederà quindi celermente e senza la presenza dei difensori. Nelle more della decisione della Corte, il processo proseguirà.