Posted Dic 2021
Il contratto, inteso come rapporto giuridico patrimoniale, non è un’entità statica, ma una realtà dinamica, che vede relazionarsi due o più soggetti portatori di interessi meritevoli di tutela. I rapporti fondati su contratti di durata, come quello di locazione, presentano spesso criticità legate alla persistenza nel tempo di obbligazioni reciproche in capo alle parti. Esse, infatti, sono tenute a eseguire le rispettive prestazioni a intervalli di tempo predefiniti (esecuzione periodica) o ininterrottamente (esecuzione continuata) ed è evidente che, come in ogni relazione intersoggettiva di lunga durata, che gli equilibri inizialmente stabiliti dalle parti possono subire modifiche anche in peius e la legge mette a disposizione delle parti alcuni strumenti volti ad attutire le conseguenze sfavorevoli che tali vicende possono produrre nelle rispettive sfere giuridiche.
Il sinallagma contrattuale può essere alterato quando una delle parti si renda inadempiente alle proprie obbligazioni, trascurando di eseguire o eseguendo in modo inesatto le prestazioni dovute. Tra i diversi rimedi a tale alterazione del rapporto contrattuale, presenti nella disciplina generale dei contratti, figura l’eccezione di inadempimento, regolata dall’art. 1460 c.c. Questa disposizione stabilisce che, nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie – o non adempie in modo esatto – o non offre di adempiere contemporaneamente la propria (inadimplenti non est adimplendum).
Nei contratti sinallagmatici, infatti, la prestazione di una parte trova giustificazione in quella dell’altra. Se soltanto una delle parti conseguisse il vantaggio derivante dal contratto, mentre l’altra no, l’equilibrio contrattuale ne risulterebbe falsato, con conseguenze evidentemente ingiuste per l’unico soggetto adempiente. La legge, dunque, consente alla parte, rimasta priva della prestazione cui ha diritto, di rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione.
L’istituto in esame è uno strumento di autotutela, ovvero una facoltà esercitabile dalla parte a livello sostanziale, senza necessità di ricorrere all’autorità giudiziaria. Al contempo, la parte chiamata in sede processuale ad adempiere, può far valere l’inadempimento altrui, nei termini di cui all’art. 1460 c.c., come vera e propria eccezione.
La giurisprudenza ha rilevato che il giudice, nel verificare la legittimità dell’eccezione ex art. 1460 c.c., deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico (v. Cass., 4 maggio 2016, n. 8912).
L’autotutela prevista dall’art. 1460 c.c. è esclusa quando termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto (comma 1). Tuttavia, come sottolineato dalla Corte di cassazione, questa previsione dev’essere interpretata nel senso che, pure in tale ipotesi, l’eccezione è consentita «solo quando sia già evidente che la controprestazione non potrà mai essere eseguita o vi sono fondate probabilità di un ritardo tale da superare il termine fissato in contratto per la controprestazione, eccedendo i limiti della normalità secondo un’interpretazione di buona fede, ovvero, ancora vi sia un concreto pericolo di perdere la controprestazione» (Cass. 8 settembre 2017, n. 20939; v. anche Cass. 4 febbraio 2009, n. 2720; Cass. 10 novembre 2003, n. 16822).
Il contratto di locazione ha anch’esso natura sinallagmatica. Ai sensi dell’art. 1575 c.c., le obbligazioni principali del locatore sono: 1. consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; 2. mantenere la cosa in istato da servire all’uso convenuto; 3. garantirne il pacifico godimento durante la locazione. A fronte della prestazione del locatore, il conduttore deve, ai sensi dell’art. 1587 c.c.; 1. prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze; 2. dare il corrispettivo (canone di locazione) nei termini convenuti.
Quando il sinallagma sotteso alla locazione subisce delle distorsioni per effetto dell’inadempimento, da parte del locatore, di talune delle obbligazioni previste dalla legge, il conduttore, secondo un indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza, può esercitare l’autotutela prevista dall’art. 1460 c.c., sospendendo in tutto o in parte il versamento del canone di locazione. Data l’incidenza che tale iniziativa del conduttore ha sul rapporto contrattuale, privando il locatore dell’utilità proveniente dal
bene locato, è necessario che l’inadempimento al quale il conduttore reagisce sia altrettanto idoneo ad incidere in modo negativo sulla reciproca dipendenza tra prestazione e controprestazione.
La giurisprudenza, nell’ammettere l’applicazione dell’art. 1460 al contratto di locazione, ha cercato di circoscrivere i limiti entro i quali l’esercizio di tale autotutela da parte del conduttore possa considerarsi legittimo.
Nei paragrafi seguenti, saranno individuate le principali ipotesi di inadempimento del locatore in relazione alle quali la giurisprudenza ha riconosciuto la facoltà del conduttore di astenersi dal versamento del canone di locazione.
Come detto poc’anzi, fra le principali obbligazioni del locatore vi sono quella di consegnare al conduttore la cosa in buono stato di manutenzione e di mantenerla idonea all’uso convenuto. Ciò significa che, durante il rapporto locativo, il dante causa è tenuto ad assicurare, per quanto di sua competenza, le necessarie opere di manutenzione e di conservazione della cosa concessa in godimento.
Questi obblighi assumono una particolare rilevanza nella locazione di beni immobili, poiché tali beni, indipendentemente dall’uso al quale sono destinati, necessitano di costante manutenzione. Alla luce di ciò, il locatore che non esegue le opere manutentive cui è tenuto è inadempiente alle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione. A fronte di tale inadempimento, sarebbe ammissibile la sospensione, da parte del conduttore, del versamento del canone in autotutela ex art. 1460 c.c.
Occorre premettere che, come sottolineato dalla giurisprudenza, l’autotutela di cui all’art. 1460 c.c. «attiene alla fase esecutiva e non genetica del rapporto contrattuale e consente al conduttore in presenza di un inadempimento del locatore, di sospendere liberamente la sua prestazione, nel rispetto del canone della buona fede oggettiva, senza la necessità di adire il giudice ai sensi dell’art. 1578 c.c.» (Cass. 25/06/2019, n. 16917). In base all’art. 1578 c.c., infatti, se, al momento della consegna, la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili; inoltre, il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere, senza colpa, ignorato i vizi stessi al momento della consegna.
L’istituto di cui all’art. 1460 c.c. è. invece, come detto, un rimedio ad uno squilibrio sinallagmatico che il conduttore può esperire autonomamente in via stragiudiziale.
Per molto tempo, la giurisprudenza di legittimità ha adottato un’interpretazione piuttosto rigorosa della norma in esame, secondo la quale l’autotutela di cui all’art. 1460 c.c. è ammissibile «solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte» (v. ex multis: Cass. 26/01/2015, n. 1317; 29/01/2013, n. 2099; 01/06/2006, n. 13133; 23/04/2004, n. 7772; 18/06/1999, n. 9863; 17/05/1983, n. 35411).
Nell’ipotesi di infiltrazioni d’acqua, seppur consistenti, cui non siano seguiti interventi di manutenzione da parte del conduttore, il predetto orientamento ermeneutico ha portato la giurisprudenza di merito a ritenere arbitraria la sospensione del pagamento del canone, se il conduttore avesse comunque continuato ad utilizzare l’immobile locato. In altri termini, perché operi l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., le omissioni del locatore dovrebbero determinare l’assoluta impossibilità di utilizzo dell’immobile (v. Trib. Nocera Inferiore sez. II, 24/02/2021, n. 410; Trib. Milano sez. XIII, 08/09/2017), poiché, se il conduttore continuasse a vivere nell’immobile, o comunque ad utilizzarlo, «tale comportamento non sarebbe proporzionale all’inadempimento del locatore» (cfr. Trib. Roma, sez. VI, 26/10/2021, n. 16848).
Recentemente, tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto, anche con riferimento al contratto di locazione, che la sospensione totale o parziale del pagamento del canone possa essere legittima «anche nell’ipotesi di inesatto adempimento, purchè essa appaia giustificata in relazione alla oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, in riferimento all’intero equilibrio del contratto e all’obbligo di comportarsi secondo buona fede» (v. Cass. civ., sez. III, 15/06/2021, n. 16890; 26/07/2019, n. 20322), giungendo ad affermare che il conduttore può sollevare l’eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., «anche nell’ipotesi di […] inesatto adempimento (del locatore, n.d.r.) tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell’immobile, purchè la sospensione del pagamento del canone appaia giustificata, in ossequio all’obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall’oggettiva) proporzione dei rispettivi inadempimenti» (Cass. n. 20322/2019, cit.).
Più in particolare, se la permanenza della detenzione della cosa locata è compatibile con la sospensione totale del canone nel caso in cui l’inutilizzabilità di detta detenzione, cioè l’effettivo sfruttamento dell’utilità economica del bene, renda totale anche l’inadempimento del locatore, qualora, viceversa, sussista un certo grado di utilizzabilità del bene, ovvero «una “quota” di adempimento del locatore», secondo la Cassazione, non deve escludersi l’applicabilità dell’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., in quanto il conduttore ben potrà «sospendere in proporzione il versamento del canone» (v. Cass. sez. III, 25/06/2019, n. 16918).
Tali conclusioni potrebbero rendere ammissibile una sospensione o riduzione del canone da parte del conduttore, in via di autotutela, anche nell’ipotesi in cui l’immobile, pur interessato da infiltrazioni d’acqua, continui ad essere abitato dal conduttore, sempre che tali fenomeni abbiano un’incidenza grave sulla salubrità dell’ambiente. Tuttavia, i giudici di merito sembrano mantenere l’orientamento più rigido sopra richiamato.
Non sono rari i casi nei quali il conduttore detenga un immobile privo dei necessari requisiti di natura amministrativa. Si pensi, ad esempio, a un immobile ad uso abitativo per il quale non sia stata
rilasciata la dichiarazione di abitabilità o a un locale ad uso commerciale per il quale non si sia proceduto al cambio di destinazione prescritto dalla legge.
Qualora tali irregolarità non siano imputabili al conduttore, perché rientranti nella responsabilità del locatore, può il primo rifiutarsi di versare il canone fino alla regolarizzazione amministrativa dell’immobile?
La Suprema Corte, nella sentenza 21/08/2020 n. 17557, ha sottolineato che, in generale, l’eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina urbanistica ed edilizia non determina la nullità del contratto, né per l’illiceità dell’oggetto (art. 1346 c.c.), atteso che questa deve essere riferita alla prestazione dedotta e non al bene in sé, né per l’illiceità della causa (art. 1343 c.c.), «perché locare un immobile costruito senza licenza, nè condonato, non è in contrasto con l’ordine pubblico».
Anche in materia di locazione di immobile ad uso abitativo, nella sentenza citata si rileva che: «il carattere abusivo dell’immobile o la mancanza di certificazione di abitabilità non importa nullità del contratto locatizio, non incidendo i detti vizi sulla liceità dell’oggetto del contratto […] o della causa […]: ne consegue l’obbligo del conduttore di pagare il canone anche con riferimento alla locazione di un immobile avente i caratteri suddetti» (Cass., sent. n. 17557/2020, cit.; Sez. II, ordinanza n. 27485 del 28/10/2019).
L’abusività dell’immobile, secondo la Cassazione, non costituisce neppure un vizio della cosa locata ai sensi dell’art. 1578 c.c. (v. sopra, par. 2), poiché i vizi cui fa riferimento la norma sono, secondo il consolidato insegnamento della Corte, «quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione» (Cass. sez. III, 21/11/2011, n. 24459; 15/05/2007, n. 11198; 18/04/2006, n. 8942).
L’assenza dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della regolare utilizzabilità dell’immobile rientra, secondo la Corte, nell’alveo delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti (cfr. Cass., sent. n. 17557/2020, cit., par. 14 ss.). Da questo punto di vista, osserva la Corte, si può ravvisare un eventuale inadempimento del locatore «solo là dove il carattere abusivo dell’immobile concesso in godimento abbia in qualche misura inciso su un qualche concreto profilo di interesse del conduttore». Questa incidenza si concretizza, secondo gli Ermellini, nell’impossibilità di un effettivo, concreto e integrale godimento del bene da parte del conduttore in dipendenza dell’iter amministrativo riferito all’eventuale sanatoria o all’adeguamento dell’immobile locato (cfr. Cass., sent. n. 17557/2020, cit., par. 23).
In altri termini, l’abusività dell’immobile non costituisce per il conduttore un pregiudizio in re ipsa, non avendo necessariamente un’incidenza negativa sulla sua sfera giuridica. Semmai, tale condizione può giustificare una reazione di autotutela come quella di cui all’art. 1460 c.c., quando il conduttore provi di aver sofferto un concreto pregiudizio nel godimento del bene n ragione della condizione giuridica nella quale lo stesso versa, condizione che deve dipendere da un inadempimento imputabile al locatore.
Di Giorgia Andriani