Posted Feb 2023
RIFORMA APPELLO
A cura di: Salvatore Lacopo
(art. 3, comma 26, D. Lgs. 149/2022)
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Con la anticipazione, in via generale, della decorrenza della riforma del processo civile ai procedimenti successivi al 28 febbraio 2023, è mutato anche il referente temporale per le nuove disposizioni sull’appello. Infatti, bisogna avere riguardo alla “proposizione” del gravame e, quindi, alla notificazione della citazione o al deposito del ricorso: se tali adempimenti si sono già perfezionati alla data del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti; altrimenti, se sono compiuti successivamente, a partire quindi dal 1 marzo 2023, implicano l’applicazione delle norme riformate.
Competenza (art. 341 c.p.c.)
A seguito dell’ampliamento della competenza in primo grado del giudice di pace ex art. 7 c.p.c. – da 5 a 10 mila euro per le cause mobiliari, da 20 a 25 mila euro per quelle di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti – è conseguentemente ampliata la competenza funzionale, ai sensi dell’art. 341 c.p.c., del tribunale quale giudice di appello rispetto alle sentenze del giudice di pace, con correlativa restrizione dell’ambito di competenza della corte di appello rispetto alle sentenze del tribunale.
Impugnazione incidentale tardiva (art. 334 c.p.c.)
Innanzitutto, risulta riformato il termine per la proposizione dell’appello incidentale. Infatti, ai sensi dell’art. 343 c.p.c.: “l’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione o dell’udienza fissata a norma dell’articolo 349-bis, secondo comma.”
L’art. 334 c.p.c., invece, viene innovato, al secondo comma, per chiarire che l’impugnazione incidentale tardiva diviene inefficace non solo nel caso in cui l’impugnazione principale sia dichiarata inammissibile ma anche nel caso in cui l’impugnazione principale sia dichiarata improcedibile. Tale estensione, operata dalla riforma, della perdita di efficacia dell’impugnazione incidentale tardiva a tutti i casi di improcedibilità, senza alcuna distinzione, appare comunque orientata a privilegiare la cessazione della materia del contendere in sede di gravame, una volta venuto meno il presupposto – l’impugnazione principale – che costituisce la ragione giustificatrice dell’ammissibilità del gravame incidentale tardivo.
Forma Appello (art. 342 c.p.c.)
L’art. 342 c.p.c, viene riformato al secondo comma. In particolare, si prevede che: “l’appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: 1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero”.
Si conferma nell’incipit del riformulato art. 342 c.p.c. la modalità introduttiva della citazione secondo il modello previsto dall’art. 163 c.p.c.; nel secondo comma resta pure identico il termine libero a comparire, che è tuttavia indicato espressamente (90 o 150 giorni, secondo il luogo della notificazione, in Italia o all’estero), essendo stato ampliato quello previsto in primo grado dall’art. 163-bis c.p.c..
Sono, invece, integralmente riformulati i requisiti previsti “per ciascuno dei motivi” “a pena di inammissibilità”. Si richiede al riguardo l’indicazione “in modo chiaro, sintetico e specifico” del “capo” della sentenza appellata (n. 1), delle censure “alla ricostruzione dei fatti” (n. 2), delle “violazioni di legge” e della “loro rilevanza ai fini della decisione impugnata” (n. 3).
È da evidenziare innanzitutto che tali indicazioni sono opportunamente riferite non già alla motivazione dell’appello, complessivamente considerata, ma a “ciascuno dei motivi”, che è, quindi, onere dell’impugnante distintamente articolare.
Ogni censura deve essere espressamente orientata verso un determinato “capo” della decisione impugnata; non è più necessario, quindi, riprodurre integralmente “le parti del provvedimento” censurate così come è richiesto dalla previgente formulazione del requisito n. 1 dell’art. 342 c.p.c..
Le censure in fatto (n.2) ed in diritto (n.3) – nonostante la formulazione in successione dei requisiti – non sono in realtà da ritenersi entrambe necessarie, potendo la sentenza essere impugnata anche solo per le “violazioni di legge” in relazione ad una pacifica o, comunque, condivisa “ricostruzione dei fatti”.
Le denunciate violazioni di legge devono però, in ogni caso, essere oggetto di argomentazioni che ne spieghino la “rilevanza” in vista della riforma della decisione appellata.
Tutte le deduzioni in ciascun motivo vanno, inoltre, formulate “in modo chiaro, sintetico e specifico”. È da intendersi, al riguardo, ribadito il principio introdotto dalla riforma sulla redazione di ogni atto processuale “in modo chiaro e sintetico” (art. 121, comma 1, c.p.c.), in conformità, quindi, ai “criteri e limiti di redazione dell’atto” fissati dal regolamento attuativo ministeriale, i quali, tuttavia, in via generale non pregiudicano la validità dell’atto ma possono solo assumere rilievo in sede di accollo delle spese processuali all’esito del giudizio (art. 46, commi 4 e 5, disp. att. c.p.c.).
È, pertanto, da ritenere che la sanzione della “inammissibilità” continui in buona sostanza ad essere conseguenza di un motivo di gravame “non specifico”, rispetto al quale l’oscurità e/o la prolissità della formulazione possono eventualmente essere soltanto indici sintomatici del vizio.
Improcedibilità dell’appello (art. 348 c.p.c.)
Rimangono invariate le ipotesi tipiche di improcedibilità per mancata tempestiva costituzione in giudizio o mancata comparizione dell’appellante nelle due successive prime udienze di trattazione.
Si introduce, tuttavia, un ulteriore comma per precisare che: “davanti alla Corte di appello l’istruttore, se nominato, provvede con ordinanza reclamabile nelle forme e nei termini previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell’articolo 178, e il collegio procede ai sensi dell’articolo 308, secondo comma”; (con ordinanza non impugnabile se accoglie il reclamo o con sentenza se lo respinge).
Il tribunale o anche la Corte di appello, nel caso non sia stato nominato il consigliere istruttore, dichiarano, invece, l’improcedibilità sempre con sentenza.
Inammissibilità e manifesta infondatezza (art. 348-bis c.p.c.)
Viene abrogato l’art. 348-ter c.p.c. e, quindi, l’ipotesi di inammissibilità fondata sulla prognosi di infondatezza dell’impugnazione (“non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”).
L’art. 348-bis viene interamente riformato, prevedendo che: “quando ravvisa che l’impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice dispone la discussione orale della causa secondo quanto previsto dall’articolo 350-bis. Se è proposta impugnazione incidentale, si provvede ai sensi del primo comma solo quando i presupposti ivi indicati ricorrono sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza”.
Il legislatore consente, quindi, l’immediata definizione semplificata solo se riferibile all’intera causa, dovendosi altrimenti procedere alla ordinaria fase di trattazione.
Trattazione (art. 350 c.p.c.)
Qui abbiamo le novità più significative.
Innanzitutto viene introdotto l’art. 349-bis c.p.c. (nomina dell’istruttore), secondo il quale: “quando l’appello è proposto davanti alla Corte di appello, il presidente, se non ritiene di nominare il relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale, designa un componente di questo per la trattazione e l’istruzione della causa. Il presidente o il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino a un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza”.
La scelta tra i due alternativi moduli procedimentali, è da ritenere dipendente dalla valutazione relativa alla sussistenza o meno dei presupposti per la discussione orale ex art. 350-bis c.p.c. e, quindi, della possibilità di una immediata definizione dell’intero giudizio senza necessità di una fase di trattazione – ed eventuale istruzione – avanti al consigliere istruttore.
L’udienza di trattazione indicata nella citazione introduttiva può, inoltre, essere differita con decreto dal presidente o dallo stesso istruttore osservando le stesse modalità e limiti (non oltre 45 giorni) già previsti per il primo grado nella disciplina ante riforma dall’art.168-bis, comma 5, c.p.c.. La nuova udienza è, quindi, comunicata dalla cancelleria alle parti costituite ed implica il differimento anche del termine a ritroso di 20 giorni per la proposizione dell’appello incidentale (in tal senso espressamente il nuovo art. 343 c.p.c.).
Venendo meno la necessaria collegialità della trattazione, la quale, infatti, affidata all’istruttore “se nominato”, permanendo il carattere collegiale soltanto della decisione (nulla è innovato, invece, per la composizione del giudice – sempre monocratico – nel giudizio di appello avanti al tribunale), Si possono delineare in tal senso avanti alla Corte di appello due moduli dal punto di vista processuale:
ordinario, con nomina dell’istruttore, dove l’istruttore provvederà a tutte le consuete verifiche (validità della costituzione delle parti, instaurazione del contraddittorio, ecc.), potendo, inoltre, esperire avanti a sé il tentativo di conciliazione e disporre – solo se ritenuto opportuno – la comparizione delle parti. Il potere più caratterizzante del “nuovo istruttore” è quello di decidere sull’ammissione delle prove (nei limiti dell’art. 345, comma 3, c.p.c.) e procedere alla relativa assunzione avanti a sé. Le attività di conciliazione e di ammissione delle prove possono essere “evitate” qualora l’istruttore ritenga sussistenti i presupposti per la discussione orale od opportuna la definizione immediata della causa per ragioni di “ridotta complessità” o “urgenza”;
semplificato, con nomina del relatore per la discussione. Si tratta dei casi in cui l’appello risulti inammissibile o manifestamente infondato (art. 348-bis) o manifestamento fondato o, ancora, di ridotta complessità o per motivi di urgenza; in questi casi la causa verrà decisa a seguito della discussione orale ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.: le parti precisano le conclusioni e discutono oralmente la causa in udienza. All’esito della discussione il giudice, previa deliberazione in camera di consiglio, pronuncia la sentenza, dando lettura del dispositivo e della motivazione “sintetica” (esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi” – art.350, comma 3, c.p.c.) e apponendo la sottoscrizione unitamente al verbale dell’udienza, cui segue l’immediato deposito in cancelleria. In alternativa il giudice può, tuttavia, riservare il deposito della sentenza – non, quindi, della sola motivazione – entro i successivi 30 giorni.
Si può così prospettare, pur con larga approssimazione, un’analogia con quanto previsto per il giudizio di primo grado, dove si è espressamente istituito il procedimento semplificato di cognizione (artt. 281-decies e ss. c.p.c.), relativamente alle controversie essenzialmente “di pronta soluzione”, suscettibili di essere definite senza osservare i tempi tecnici di regola imposti dalla cognizione ordinaria.
Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria (art. 351 c.p.c.)
In ordine alle invalse formule selettive delle inibitorie, quindi, il c.d. fumus boni iuris deve raggiungere la soglia della manifesta fondatezza mentre il periculum in mora deve minacciare un danno grave ed irreparabile: la ratio appare quella di salvaguardare l’immediata esecutività della sentenza di primo grado, persino a fronte di appelli solo eventualmente (ma non probabilmente) fondati o nella imminenza di danni suscettibili di essere compiutamente compensati a posteriori (e, quindi, riparabili).
È sostanzialmente invariata, invece, la disciplina sanzionatoria dell’istanza di inibitoria inammissibile o manifestamente infondata, essendosi soltanto precisato che la pena pecuniaria è da irrogare in favore della cassa delle ammende, come si conviene ad una sanzione avente carattere punitivo piuttosto che compensativo di un pregiudizio arrecato alla controparte (in tal senso esulando dalla responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c.).
L’inibitoria non può comunque essere richiesta prima della proposizione dell’appello in quanto è pure confermata la regola della contestualità dell’istanza cautelare “con l’impugnazione principale o con quella incidentale”.
Tuttavia – e in ciò la riforma innova – può essere anche proposta (per la prima volta) o reiterata (se prima respinta, in tutto od in parte) anche in pendenza del giudizio di appello qualora si adempia all’onere di indicare specificamente nella stessa istanza, a pena di inammissibilità, i sopravvenuti “mutamenti nelle circostanze” che la giustificano.
La cognitio maturata all’esito del subprocedimento sull’inibitoria può giustificare, come noto, anche il passaggio immediato alla fase decisoria del merito dell’appello (art. 351, comma 4, c.p.c.).
Si conferma, infine, a garanzia della pienezza del contraddittorio, che, ove l’istanza di inibitoria sia stata trattata anteriormente all’udienza di merito, la successiva udienza di discussione deve essere comunque fissata nel rispetto del termine a comparire (90 o 150 giorni secondo il luogo della notificazione, in Italia o all’estero, dell’atto introduttivo.
Decisione (art. 352 c.p.c.)
Il consigliere istruttore, quando ritiene la causa matura per la decisione, può tuttavia ancora adottare la modalità semplificata, vale a dire la discussione orale, invitando le parti a precisare le conclusioni e fissando l’udienza direttamente avanti al collegio, ai sensi dell’art.350-bis, c.p.c., ove ritenga l’appello inammissibile o manifestamente infondato/fondato.
In alternativa l’istruttore fissa avanti a sé l’udienza di “rimessione della causa in decisione” assegnando alle parti tre termini perentori, anteriori a tale udienza, rispettivamente: per la sola precisazione delle conclusioni (non superiore a 60 giorni), per le memorie conclusionali (n. s. a 30 giorni), per le note di replica (n. s. a 15 giorni); termini che devono essere calcolati a ritroso dall’udienza indicata. È da osservare, poi, che all’intera suesposta fase predecisoria scritta, anteriore all’udienza finale, le parti possono espressamente rinunciare.
All’udienza successiva a tale fase scritta la causa è trattenuta in decisione; il consigliere istruttore della Corte di appello si riserva di riferire al collegio; in ogni caso la sentenza è da depositare entro 60 giorni dall’udienza di rimessione in decisione.
Viene abrogato l’art. 353 c.p.c. e interamente riformulato l’art. 354 c.p.c. nel senso di escludere due tradizionali ipotesi di rimessione al primo grado, da parte del giudice di appello, quando sia ritenuta:
la sussistenza della giurisdizione negata dal primo giudice;
l’insussistenza della causa estinzione del processo posta a fondamento della declaratoria ex art. 308 c.p.c..
In tali eventualità, infatti, le parti devono essere solo riammesse al compimento delle attività che erano state precluse ed è eventualmente rinnovata, se possibile, l’istruttoria ai fini della definizione del merito in grado di appello.
La finalità della riforma è quella di limitare le fattispecie di rimessione della causa in primo grado ai casi di violazione del contraddittorio.
9. Nel rito del lavoro
La trattazione è rimasta collegiale. Nella fase decisoria sono, tuttavia, configurabili, analogamente a quanto previsto in via generale per l’appello (artt. 350-bis e 352 c.p.c.), due moduli di definizione :
uno semplificato (art. 436-bis c.p.c.) , nel quale all’esito della discussione è pronunciata integralmente la sentenza, mediante lettura del dispositivo e della motivazione, redatta “in forma sintetica” così come già previsto nel nuovo art. 350-bis, comma 3, c.p.c.;
l’altro ordinario (artt. 437, 438 c.p.c.), nel quale continua ad essere pronunciato il solo dispositivo nell’udienza di discussione ed il termine per il deposito della sentenza è fissato in 60 gg. dalla pronuncia, in tal senso aumentando il termine previgente di soli 15 gg per adeguarlo – del tutto opportunamente – a quello previsto in via generale per le sentenze di appello (art.352, comma 2, c.p.c.); del deposito della sentenza il cancelliere dà immediata comunicazione alle parti.